Caovilla va a Bollywood (e io penso alla Riviera del Brenta)

Quando ho letto che a 87 anni Caovilla apre una boutique monomarca a New Delhi, mi è venuto spontaneo sorridere. È l’ennesima conferma che il “made in Riviera del Brenta” non è un’etichetta geografica: è un linguaggio che continua a parlare al mondo.

Dopo gli Emirati Arabi, l’India: un ponte lungo fatto di artigianato, pazienza e luce.

Io Caovilla l’ho incontrato quasi vent’anni fa, lungo la via che costeggia il Tergola, a Stra.

Io distribuivo volantini per le elezioni comunali, lui camminava tranquillo.

Ci siamo persi a parlare di territorio, tra Stra e Noventa Padovana, di dove venivo e di cosa pensavo in quel momento del lavoro e della calzatura. Poi si è presentato e mi ha spiegato chi era.

Ricordava anche mio nonno, titolare anni prima di un calzaturificio non lontano da dove ci trovavamo.

In quel dialogo che ho ben presente nel mio cuore ho capito che certi nomi non appartengono solo al lusso: sono la memoria viva di un territorio e del suo retaggio.


La maison Caovilla nasce e cresce nella Riviera del Brenta: un distretto capace di tenere insieme saperi manuali e visione.

Dentro ci sono gesti che non invecchiano: incastonare cristalli, modellare tomaie come gioielli, rifinire dettagli con la calma di chi sa che la fretta toglie luce.

Non è nostalgia, è competenza che attraversa le stagioni e che continua a sorprendere le passerelle di mezzo mondo (basta pensare alle apparizioni scintillanti, dal prêt-à-porter agli show più spettacolari).

La novità è strategica: New Delhi non è solo una città, è la porta di un mercato ricco e giovane, curioso di linguaggi estetici forti.

La boutique arriva con una collezione pensata per l’India, ponte naturale tra lo sfarzo dei Maharaja e la finezza Veneziana.

L’articolo che ho letto stamattina racconta un immaginario preciso: oro, bagliori, architetture-palazzo, decorazioni come filigrane. Tradotto in scarpa: volumi scultorei ma leggeri, superfici che catturano la luce, un’idea di festa che non diventa mai rumore.

C’è una frase che mi è rimasta:

«Il mio segreto per non cadere nella routine? Mi piace ancora sorprendere le donne».

È tutto qui: stupore come metodo.

Nelle immagini si vedono il lavoro di mani, strumenti, che definiscono i dettagli come un gioiello; quell’istante in cui l’oggetto passa da “materia prima” a “bene” e poi a “incanto”.

È ciò che differenzia il lusso vero dall’effimero: la meraviglia che resta.

È la Riviera delle barche dei Dogi e dei ricchi Veneziani, dei pellami, dei laboratori dove mio nonno mi raccontava delle donne che sistemavano i tacchi e i ragazzi imparavano guardando in silenzio come si lavorava a sacchetto.

Quando un marchio come Caovilla parla all’India, parla anche di noi: dimostra che il nostro capitale umano (mani, occhi, metodo) è ancora una valuta forte.

Oggi lavoro anche io dentro alla stessa filiera.

Ogni volta che vedo un modello nascere, riconosco quella stessa grammatica: tradizione che diventa processo, qualità misurabile, ma senza perdere anima.

È il compromesso giusto: far dialogare arte e industria senza anestetizzare il prodotto.

E qui sta la lezione che prendo da questa notizia: l’internazionalizzazione funziona quando non traduce la nostra identità, la amplifica.

Caovilla che “va a Bollywood” porta con sé la luce delle nostre manovie e della nostra tradizione e la restituisce in un’altra lingua.

È la prova che il Made in Riviera del Brenta non è solo “produrre scarpe”, ma trasformare i passi in storie.

E se c’è una rotta per il futuro del nostro distretto calzaturiero è questa: radici profonde, orizzonte lontano, e la testarda ambizione di continuare ( a qualsiasi età ) a sorprendere.

Lascia un commento